Avvertenze
Tappa piuttosto breve che arriva al centro di Ascoli Piceno, la “bianca città delle cento torri”, senza mai passare per strade trafficate e seguendo lo sviluppo della valle del torrente Chiaro, che guadiamo due volte. Lungo il percorso incontriamo i calanchi, le formazioni geologiche tipiche di questa parte di territorio, che è possibile ammirare nella loro migliore prospettiva percorrendo la bretella/variante Venarotta – Montedinove.
Descrizione
A Venarotta procuriamoci una buona riserva d’acqua, dato che fino alle porte di Ascoli Piceno non troveremo fonti pubbliche (anche se lungo il percorso potremo incontrare qualche privato felice di offrirci ristoro idrico). Se abbiamo dormito all’ostello dobbiamo percorrere la strada a ritroso fino alla fine di via Castello, girare a destra per 200 m e poi proseguire seguendo le indicazioni della tappa precedente per arrivare alla chiesa ottagonale del Cardinale: qui prendiamo a destra su asfalto seguendo le indicazioni stradali per Vallorano/Castellano/Cepparano. Dopo 900 m, all’altezza di una curva a gomito, abbandoniamo la strada asfaltata e prendiamo uno sterrato che prosegue dritto rispetto alla nostra direzione di marcia. Ci inoltriamo in discesa tra gli alberi per 300 m fino a un incrocio ben marcato dalla segnaletica del Cfm [8.1 – km 1,2]. Pieghiamo a destra su strada di terra in discesa che ben presto diventa sentiero. Scendiamo a filo di placche di roccia arenaria per 550 m e al primo bivio proseguiamo sul sentiero a destra fino a raggiungere, dopo altri 550 m, un trivio di strade sterrate. Prendiamo quella a sinistra che sale verso il gruppetto di case di contrada Salara e all’altezza della prima casa proseguiamo sulla destra in discesa. In meno di 300 m raggiungiamo l’alveo del torrente Chiaro, che dobbiamo guadare utilizzando le pietre a pelo d’acqua. Attenzione: in periodi di piogge il livello dell’acqua potrebbe salire per cui saremmo costretti a superare il torrente a piedi scalzi o, preferibilmente, con calzari impermeabili.
Subito dopo il guado troviamo un bivio con segnaletica verticale del Cfm [8.2 – km 2,7]: girando a sinistra si va per Montedinove (bretella/variante Venarotta-Montedinove), mentre per Ascoli Piceno procediamo dritti su strada di terra dapprima in piano e poi in lieve salita, aggirando la collina fino a immetterci su uno sterrato all’altezza di un tornante. Procediamo scendendo sulla destra e continuiamo in direzione Venapiccola ignorando tutte le stradine private.
Dopo 1 km passiamo di fronte a un piccolo gruppo di case, e dopo altri 400 m incontriamo sulla sinistra una piccola pieve di campagna. Lo sterrato continua a salire fino a un incrocio, dove ricomincia l’asfalto, all’altezza di una piccola chiesa votiva [8.3 – km 5,5]. Di fronte a noi i profili delle frazioni di Venapiccola e Venagrande. All’incrocio prendiamo sulla destra la salita che ci porta alla sommità del colle, nel piccolo borgo di Tirabotte. Qui c’è la casa di Piero e Silvia, pellegrini e hospitaleri, in cui, previo avviso telefonico (328-94.49.611), è possibile trovare un po’ di ristoro e il timbro per la credenziale.
Superata l’ultima casa di Tirabotte incontriamo un bivio. Prendiamo lo sterrato che scende sulla destra. Dopo circa 200 m a un altro bivio prendiamo sulla sinistra la strada di terra come ben indicato dalla segnaletica del Cfm fino a raggiungere una casa di campagna isolata [8.4 – km 6,3]. Tenendo la casa sulla destra imbocchiamo il piccolo sentiero che si inoltra nel bosco dritto davanti a noi e che scende a fondovalle fino a un’ampia radura erbosa. Anche qui prestiamo attenzione: il campo è abbandonato e l’erba spesso copre le tracce del camminamento. A ogni modo dobbiamo attraversare l’intera radura fino a incrociare una strada di terra perpendicolare che proviene dal bosco, e che prendiamo a destra verso il torrente Chiaro, che di lì a poco ci si para davanti. Anche questa volta lo dobbiamo guadare per proseguire lungo la mulattiera oltre l’alveo.
Dopo 300 m incontriamo una strada sterrata. La prendiamo a sinistra e procediamo in ripida salita per 600 m fino a intercettare, in prossimità della frazione Villa Curti, la SP 93 che da Venarotta porta ad Ascoli Piceno. La imbocchiamo a destra in lieve salita e dopo 150 m prendiamo la strada asfaltata sulla sinistra, in salita, con indicazioni stradali per Gimigliano [8.5 – km 8,3]. Saliamo per 800 m fino a un tornante dal cui gomito parte una strada sterrata che si dirige verso la rupe rocciosa che abbiamo di fronte. Imbocchiamo la sterrata e dopo 100 m pieghiamo a destra su sentiero in salita che si inoltra tra gli alberi e che ci conduce sulla sommità del colle. Qui intercettiamo la strada sterrata del crinale in cui ci immettiamo voltando a sinistra.
Dapprima in falsopiano lo sterrato inizia dolcemente a scendere fino a una casa isolata dove ricomincia l’asfalto, che seguiamo per circa 100 m e che poi, subito dopo una curva a destra, abbandoniamo per prendere uno sterrato che piega decisamente a destra, ben indicato dalla segnaletica del Cfm [8.6 – km 9,9]. La strada sempre in discesa passa di fronte a un gruppetto di case per arrivare, dopo 2 km, alla confluenza con una piccola strada asfaltata. Qui giriamo a sinistra e dopo 100 m ci troviamo alla chiesa votiva di Sant’Antonietto [8.7 – km 11,9]. Procediamo dritti su asfalto in discesa per immetterci in via Santo Stefano da Montegranaro, ormai alle porte di ASCOLI PICENO.
In piano continuiamo sempre dritti, transitiamo di fronte al cimitero della città e percorriamo tutta la via (che ora si chiama San Serafino da Montegranaro), tra le case della periferia fino al lavatoio pubblico del Seicento, meglio conosciuto come fonte di Sant’Emidio. Sulla destra il ponte romano di Solestà sul fiume Tronto e l’omonima porta di accesso al centro storico della città [8.8 – km 14,2]. Attraversiamo il ponte e percorriamo via Solestà per poi girare a sinistra nella corta via Donne e raggiungere piazza Ventidio Basso: da qui prendiamo via Cairoli e poi, a destra, via del Trivio, e raggiungiamo la chiesa di San Francesco che affaccia sulla deliziosa piazza del Popolo. Attraversiamo la piazza per girare poi a sinistra in via Cino del Duca e quindi a destra in corso Trento e Trieste. Al termine del corso si apre sulla sinistra piazza Arringo, dominata dalla facciata della Cattedrale di Sant’Emidio, che ospita nella cripta le spoglie del Santo [8.9 – km 15,2].
Monte Ascensione
Come ci si avvicina ad Ascoli Piceno sempre più si delinea il particolare profilo a gradoni del Monte Ascensione (1110 mslm) che si erge solitario nella fascia sub-appenninica del Piceno. Nei secoli sia il suo nome che il suo profilo hanno evocato miti, suscitato emozioni e raccontato leggende e tradizioni. Il primo dei nomi che l’Ascensione ha avuto e che la storiografia ci tramanda è Monte Nero che ha due possibili interpretazioni: l’una rimanda alla folta boscaglia, l’altra lo lega al culto delle acque dei piceni poiché si pensava che la fonte qui presente fosse custodita dalle Nereidi. Il secondo oronimo, Polesio, lo troviamo nei documenti medievali e anche in questo caso l’interpretazione è assai ardua. La più affascinante è che sia l’unione di pol- (dal termine osco-sabello che indicava un monte) e Esu divinità centro-italica legata alle acque sacre. Un’altra possibile interpretazione è legata alla leggenda di Polesia, figlia di un illustre politico romano convertita al cristianesimo da S. Emidio. Costretta a fuggire perché perseguitata dal padre venne inghiottita da una voragine del monte su cui oggi è costruito un santuario a lei dedicato e meta di pellegrinaggio per ascolani e abruzzesi. Tradizione vuole che i pellegrini portano un sasso, prelevato tra i ciottoli del torrente Chiaro a fondovalle, e lo lasciano come omaggio alla santa nella fenditura che l’avrebbe nascosta. In tempi passati era sovente vedere mucchi di pietre lungo il crepaccio. Inoltre si dice che chi in vita non abbia compiuto almeno una volta il pellegrinaggio al Santuario dovrà compierlo in forma di lumaca dopo la morte. Molte donne e bambini che ancora oggi compiono il cammino, quasi inconsapevolmente, se vedono una lumaca la trasportano in alto aiutando così un’anima a compiere la sua fatica.
I Calanchi
Altro aspetto tipico del paesaggio che si incontra con il Cammino Francescano della Marca poco prima di Ascoli Piceno percorrendo l’alveo del torrente Chiaro è quello dei calanchi, fenomeno geomorfologico di erosione del terreno che si produce per l’effetto di dilavamento delle acque. In tutto il territorio piceno i colli sono soggetti a questo processo; l’Ascensione e i vicini territori di Castignano e Appignano del Tronto ne sono l’emblema. Affascinanti e allo stesso tempo terribili donano all’occhio che sa ancora emozionarsi un misto fra maestosità e pericolosità, di qualcosa di inantropizzabile e selvaggio. Un paesaggio ocra chiaro con violenti dirupi e coni aguzzi senz’alberi e senz’erba, scavati dalle acque in buche, piagge di aspetto maligno, come un paesaggio lunare e da ogni parte non altro che precipizi di argilla su cui le case stanno come liberate nell’aria. Sulle “ripe”, termine dialettale che sta per calanchi, è stata ipotizzata un’antica strada romana che collegava la colonia di Ascoli a quella di Fermo in seguito al rinvenimento di un miliare.
A casa di Piero
Dopo aver percorso lungamente il fondovalle del torrente Chiaro il Cammino Francescano della Marca risale fino all’abitato di Tirabotte dove c’è una casa privata sulla sommità della collina che spazia con una straordinaria vista a 360°. E’ la casa della famiglia Tarli. Piero, pellegrino della prima ora e appassionato del cammino, d’accordo con la moglie Silvia, ne ha fatto un’oasi per i viandanti. Nel suo cortile capita spesso di ristorarsi dalle fatiche del pellegrinaggio con un piatto di pasta o con un buon bicchiere di vino o semplicemente ascoltando le sue allegre canzoni popolari mentre si accompagna con l’organetto. L’eccezionalità del Cammino Francescano della Marca è dato principalmente dalla spontaneità e dal contributo dei pellegrini che nel corso degli anni vi hanno partecipato e il caso di Piero e Silvia ne è l’emblema. Come ne è emblema il timbro (sello) personalizzato in cui campeggia la Z di Zorro (come Piero è soprannominato) da apporre nella credenziale degli ospiti che passano a piedi. La casa non è sempre aperta perché la famiglia Tarli vive altrove ma se vedete il suo cancello aperto non siate timidi e andate a conoscere il grande cuore di una famiglia sempre in cammino. Ultreya Piero! Ultreya Silvia!
Il Santuario di Gimigliano
Superato Curti il Cammino Francescano della Marca affronta l’ultima salita prima di scendere definitivamente verso Ascoli Piceno. Ma, per chi non fosse ancora pago, lungo l’ascesa, con una deviazione di 15 minuti circa, può raggiungere il Santuario di Gimigliano, costruzione recente nata conseguentemente ad un fatto miracoloso. Il 18 aprile 1948 la Santa Vergine apparve presso una rupe tufacea di Gimigliano di Venarotta ad Anita Federici, una contadina tredicenne afflitta da una malattia agli occhi. La Madonna invitò Anita, che stava raccogliendo legna nel bosco, a pregare per la conversione dei peccatori, parlandole nel dialetto locale. Maria le riapparve altre 25 volte, sino a quando, il 23 maggio 1948, le diede la corona della penitenza e del dolore. Oltre ad Anita numerose altre persone videro la Madonna, da come risulta dai dossier dell’archivio della curia vescovile di Ascoli Piceno. Se ne contano 564 (261 uomini e 303 donne), di età compresa tra gli 8 ed i 70 anni. In seguito, migliaia furono i pellegrini che videro segni particolari sulla rupe e nel cielo, in particolare il grande segno della roteazione del sole preannunciata da Anita. Le apparizioni mariane ripresero a Gimigliano il 2 settembre 1985. Rosina Messi, da 19 anni ammalata di flebite e di ulcera varicosa alle gambe, guarì straordinariamente il 3 agosto 1986 pregando nella cappella.
L’ingresso ad Ascoli Piceno
L’ingresso ad Ascoli Piceno è qualcosa di straordinario. Superando la città nuova dal versante in cui è meno sviluppata, in pochi minuti, dalla campagna si passa al centro storico. La città bianca con le sue mura monumentali e le sue torri. Bianca perché Ascoli Piceno è da sempre decorata e monumentalizzata col travertino, roccia calcarea visivamente simile al marmo. La città del Vescovo e patrono Sant’Emidio. Prima dell’arco di Porta Cappuccina un lavatoio incorniciato da una loggia a cinque arcate la cui fonte si attribuisce a Sant’Emidio il quale,non avendo a disposizione l’acqua necessaria per battezzare tutti i nuovi fedeli convertiti al Cristianesimo dalla sua predicazione, se la procurò battendo un sasso da cui fece sgorgare la sorgente che la alimenta. E poi il ponte romano che attraversa il Tronto, anch’esso di travertino, di epoca augustea. La struttura è costituita da un’unica campata realizzata con un maestoso arco a tutto sesto con misure straordinarie per l’epoca della sua edificazione. Il ponte è visitabile anche all’interno attraverso un corridoio d’ispezione. E’ considerato uno dei ponti più rappresentativi della tecnica e della civiltà romana avendo conservato integralmente le sue caratteristiche costruttive. Porta Cappuccina, chiamata così dal XVI sec. quando appena fuori città si stanziarono i frati Cappuccini, venne edificata nel 1230 da Fildesmilio da Mogliano, magistrato cittadino che volle fortificare la zona nord della città.
S. Emidio alle grotte e Spedale dei SS. Ilario e Giacomo
Emidio nasce a Treviri (l’attuale Trier in Germania) nel 273 da una famiglia aristocratica legata all’antica religione dell’Impero romano. Si convertì al cristianesimo intorno al 290 dopo aver militato nelle guarnigioni. La sua abile retorica gli valse il plauso papale e una Diocesi in breve tempo. E’ ordinato sacerdote nel 296 a Milano e già nel 300 è a predicare nella sua diocesi: Ascoli Piceno. Viaggiò in tutto il Piceno per convertire e abbattere i templi dell’antica fede. Dopo aver convertito Polesia (v. paragrafo sull’Ascensione), venne fatto decapitare dal magistrato nel 303 nel luogo dove è oggi il tempietto di S. Emidio Rosso. S. Emidio raccolse la propria testa scegliendo il luogo dove essere seppellito, ovvero il tempietto che oggi si chiama S. Emidio alle grotte, luogo ameno e di profonda spiritualità. Divenne Patrono di Ascoli Piceno e venerato protettore dai terremoti in tutto il mondo e insieme a lui vennero inumati successivamente i suoi discepoli. Oggi i resti mortali del Santo e dei suoi discepoli si trovano nella cripta della Cattedrale ascolana. Mentre di fronte al tempietto di S.Emidio alle grotte, leggermente defilato rispetto al centro storico della città, è stata edificata anche la chiesa romanica di S. Ilario oggi utilizzata come sede dall’associazione S. Emidio nel Mondo. All’interno è stato allestito un suggestivo ostello per pellegrini di 8 posti letto, lo Spedale dei SS. Ilario e Giacomo, gestito dalla stessa associazione e prenotabile preventivamente al 349.8095028 o al 328.8605753; mail: camminofrancescano@gmail.com
Olive fritte all’ascolana
Tipiche di tutto il Piceno, prendono il nome dalla città di Ascoli Piceno, dove alcuni nobili codificarono la ricetta. L’oliva fritta ascolana è un piatto della tradizione genericamente inserito nelle seconde portate insieme ad altre pietanze anch’esse fritte. Alleggerito sia nell’impasto che nella preparazione, per renderlo più omogeneo alle necessità culinarie nazionali, viene spesso utilizzato come antipasto. La longevità della ricetta ha portato molte variazioni al tema, ma le componenti originali sono: le olive drupa denocciolate e farcite con un impasto di manzo e maiale amalgamato con parmigiano, rosso d’uovo e alcune spezie, poi passate nella farina, nell’uovo sbattuto e infine nel pangrattato. Dal 2005 ha avuto il riconoscimento D.O.P. Molti sono i bar, i ristoranti e le bancarelle di street food che preparano le olive fritte secondo la ricetta tradizionale anche se, per gli ascolani, le inimitabili sono quelle fatte dalle anziane tra i fornelli di casa con l’aiuto di tutta la famiglia. Un’occasione per farne scorpacciata è la manifestazione Fritto Misto che si tiene solitamente in Piazza Arringo l’ultima settimana di aprile.
Piazza del Popolo, Palazzo dei Capitani e S. Francesco
Piazza del Popolo, considerata oggi il salotto della città di Ascoli Piceno, si apre all’incrocio del cardo e del decumano romano. Cinta da loggiati e stupendi palazzi nobiliari è stata definita una tra le piazze più armoniose d’Italia. Si erge imponente fra gli altri edifici Palazzo dei Capitani. Seppur con nomi diversi, già agli inizi del ‘200 era un edificio dei rappresentati del popolo o dei vari Signori che si susseguirono al potere. L’attuale palazzo, sede dell’amministrazione comunale, è il risultato dell’accorpamento di tre strutture e come ogni altro edificio pubblico ha subito svariate modifiche nel corso dei secoli, pur mantenendo la sua prerogativa di centro decisionale. Chiude la Piazza la chiesa di S. Francesco, con la sua monumentale abside. Edificata per ricordare la visita di S. Francesco in Ascoli Piceno fu all’inizio dedicata a San Giovanni Battista e solo in seguito fu intitolata al Serafico Padre. La costruzione della chiesa convento fu portata avanti per molti secoli affinché si potessero apportare le moltissime migliorie necessarie all’evoluzione dei tempi. Questi continui lavori, tutti in travertino, fecero si che volgarmente la piazza venne chiama “delle scaje”, in quanto le numerose scaglie di travertino ingombravano il passaggio in piazza. Tra i numerosi locali che si affacciano sulla piazza una visita la merita lo storico caffè Meletti dove si può assaggiare l’omonima anisetta vanto dell’azienda.
Ascoli Piceno: this is the end
Denominata la città dalle cento torri o città del travertino, è uno dei capoluoghi di provincia più antichi delle Marche. Dei primi insediamenti li troviamo già dal Paleolitico Inferiore mentre la vera forza dell’abitato arriva a partire dall’età del ferro con la cultura picena. Grazie alla Salaria, Ascoli Piceno ha un contatto diretto con Roma, così forte da dare alla repubblica numerosi magistrati e qualche console. Leggende e storia si concatenano con resti delle civiltà susseguitesi, come le mura picene a fianco a quelle romane e medievali. Forte Malatesta, Fortezza Pia, Cartiera papale, l’intera frazione di Castel Trosino e l’odierno centro storico sono monumenti che vanno vissuti più che descritti. Città da visitare, da vivere, che ti emoziona ad ogni rua, ad ogni piazza ad ogni ristorante. Non ci dilunghiamo. Ascoli Piceno vi aspetta!